di Gea Calì
Questo forte senso di responsabilità verso l’ambiente circostante e l’obiettivo di preservare l’equilibrio tra uomo e natura, hanno spinto Guido Coffa, al recupero di ben 30 diverse varietà di semi antichi per il giardino delle verdure e delle erbe e a 150 tipologie autoctone di frutta e alberi che consentono di far crescere varietà uniche, come l’albero di Ciliegio Mastrantonio DOP (il re dei frutti dell’Etna), il pesco tabbacchiero e sbergio, l’albero di puma cola, l’albero di albicocche Damaschino, l’albero di fico Vinnignola e l’albero di prugne Muscateddu. A Monaci si coltivano anche verdure selvatiche e un giardino che conta più di 40 varietà diverse di erbe, spezie e aromi.
Grazie alla sostenibilità ambientale il 70% degli ingredienti usati nei ristoranti del Resort sono di propria produzione organica. I menu riflettono l’identità Eco-Bio e la cucina tradizionale è basata su prodotti freschi, in prevalenza a km 0, provenienti dall’azienda agricola biologica della Tenuta, nel rispetto della stagionalità dei cibi e con la massima attenzione alla qualità.
Tra le eccellenze di Monaci delle Terre Nere troviamo la produzione del “Cavulu Trunzu di Aci”, il quale è stato riconosciuto come un presidio Slow food, e un’area di 2500 mq nel quale poter allevare felicemente fino a 150 galline, che permette di rifornire giornalmente la tenuta con uova fresche.
Monaci delle Terre Nere è anche un Wine Resort dove chi lo desidera può scoprire non solo le vigne, la filosofia di produzione e le tecniche di vinificazione ma anche vivere un’esperienza unica e affascinante assaporando i vini prodotti dalle viti dei vigneti della tenuta, con lo sguardo sui panorami idilliaci e mozzafiato che faranno innamorare gli amanti del vino e non solo.
I vini Guido Coffa, certificati biologici, sono coltivati su vigneti terrazzati, protetti dal Vulcano e con lo sguardo rivolto al mare, e si distinguono per forza, finezza ed eleganza, ritrovando nel calice tutta la ricchezza del terroir dell’Etna. I vini sono prodotti con vitigni autoctoni come il Nerello Mascalese, il Nerello Cappuccio, il Carricante e il Catarratto.
Fiore all’occhiello tra le etichette Guido Coffa è senza alcun dubbio, Le Viti di Minico, un esempio di come il legame con il territorio di produzione e le sue radici rappresenti un valore aggiunto, “un vino che non esiste più. Un vino dei ricordi…”.
Prima dell’era fillosserica alla fine del’800 l’Etna era un territorio incredibilmente ricco di varietà di uva. Lunghi anni di ricerca, hanno permesso di portare alla luce delle varietà “reliquia” del territorio etneo. Queste varietà sono vinificate insieme come da tradizione per comporre un vino veramente unico di grande freschezza e dal profilo aromatico complesso ed elegante, che conta di una produzione di sole 300 bottiglie destinate solo agli ospiti della Tenuta. C’è una bellissima storia che racconta la scelta del nome…
“Il terreno di Minico giaceva su un angolo della collina, circondata, protetta e nascosta da muri a secco di pietra lavica che Minico aveva pazientemente mantenuto in vita aggiungendo tutte le pietre che incontrava quando zappava la sua vigna. Quello era il suo angolo dei fantasmi, di suo padre, che gli parlava con la voce delle viti, di suo nonno, che usava come tramite gli ulivi, di suo bisnonno e di sua madre e di sua nonna, che gli parlavano ora col vento, ora con la pioggia, ora con gli alberi.
E gli suggerivano modi e tempi di coltura, luoghi di impianto e posizioni di innesto. Lui sapeva che loro erano contenti del suo lavoro e li ricambiava con dei sorrisi che gli scaldavano il cuore.
Qualcuno diceva che Minico nascondeva un tesoro e coltivava quella vigna solo per il piacere di bere un vino pieno di aromi. E così doveva essere, perchè non aveva realmente bisogno di soldi perchè aveva certe altre rendite, e il vino che produceva, anche se casalingo, aveva mille e mille odori.
Vennero da tutta la Sicilia, e da tutta Italia, e da tutto il mondo: perché in quel piccolo pezzo di terra erano raccolti tutti i vitigni più antichi della Sicilia: c’era il Barbarossa, il Bottone Gallo, il Grecaù, la Dolcetta, u’ Dunnuni, u’ Grossonero, a’ Mannella Nera, u’ Monsonico Nero, u’ Nivureddu, a’ Racinedda, l’Ibisu, a’ Visparola, u’ Zuccarato, a’ Inzolfa Nera, a Racina di Vento, a’ Cornicchiola e, naturalmente u’ Zù Matteo. E non solo, anche molte altre piante da frutto ormai dimenticate. Il vigneto fu dichiarato di interesse Regionale, recintato, sorvegliato e le sue uve furono da allora mescolate ad altri vitigni, stavolta siciliani, come il grillo e il nerello e fu prodotto un nuovo vino “Le viti di Minico”.