Irpinia, una terra verde, custode di vini pregiati

di Simone Feoli

Quando penso all’Irpinia del vino, richiamo sempre le parole di un noto produttore vitivinicolo del territorio, il quale la descrive come il luogo dove, da tempo immemore, si interpreta una “straordinaria forma di viticoltura di montagna”. Straordinaria, nel valore dei suoi vini, ottenuti dalla vinificazione di diversi vitigni a bacca bianca e a bacca rossa come il Greco, l’Aglianico , il Fiano, la Coda di Volpe Bianca, la Coda di Volpe Rossa e la Falanghina. Sulla tradizionale esperienza della vinificazione di questi vitigni nella “Terra verde”, è stato reso possibile costruire il “telaio” normativo dei disciplinari di produzione delle 4 denominazioni di origine del territorio: la DOCG Taurasi, la DOCG Fiano di Avellino, la DOCG Greco di Tufo e la DOC Irpinia.Per quanto concerne, invece, l’espressione “viticoltura di montagna” si intende rimarcare ancor di più il legame tra il territorio locale, analizzato sia sotto il profilo climatico, con inverni particolarmente rigidi accompagnati in alcune annate da. copiose precipitazioni nevose, che sotto il profilo della  conformazione territoriale, di natura prevalentemente montuosa-collinare. Già in epoca romana, la popolazione degli Irpini, (conosciuti anche con il nominativo di Sabatini )  composta principalmente da pastori, agricoltori e artigiani, era nota da un lato per la perizia con cui esercitavano l’attività agricola e dall’altro per i caratteri primitivi e bellicosi al punto che, insieme con altre tribù della confederazione sannitica partecipò alle “3 guerre sannitiche”. Proprio il legame con i Sanniti, lascia una traccia meravigliosa nella DOCG Taurasi, che prende il nome dal comune di Taurasi, invece, riferibile all’antica città di Taurasia, che fu rasa al suolo al termine della terza guerra sannitica (298 – 290 a.c.).

Nel corso dei secoli, numerose sono le testimonianze che raccontano della bontà dei vini d’Irpinia: non è un caso che sia possibile leggere della bontà del vino greco nel meraviglioso lavoro della metà del ‘500 ad opera di Sante Lancerio, bottigliere di Papa Paolo III, che accompagnava il Pontefice nei suoi viaggi.

E ancora, con riferimento all’altro grande bianco d’Irpinia, il vitigno Fiano, un altro “uomo di chiesa”, Frate Scipione Bellabona nel 1642 descrive, nei suoi “Ragguagli sulla città di Avellino”, il castello situato nell’area agricola detta Apia, dove si produceva il vino chiamato Apiano, apprezzato per la sua bontà. Non è un caso che in una nota indirizzata al Capitano della città di Montefusco datata 5 novembre 1592 si chiariva in maniera esplicita che: “L’Università ha ottenuto Regio Assenso su la gabella del vino per far pagare carlini 4 per ogni soma che entra nella terra. Ora molti particolari di Lapio portano il vino, ma non vogliono pagare perché dicono di venderlo al minuto. II Capitano li costringa al pagamento, non siano molestati per l’acquata da essi ottenuta aggiungendo acqua alle vinacce non del tutto premute, da servire per uso di famiglia; su questa non è imposta gabella alcuna”.

A parere di chi scrive, sebbene la documentazione storica rappresenti un patrimonio documentale imprescindibile nella corretta descrizione della “terra verde”, tuttavia, è di assoluto valore la meravigliosa istantanea che ci restituisce un’altra fonte, questa volta di matrice statistica, vale a dire la scheda sulla “Produzione dell’uva nelle provincie del Regno d’Italia – Medie del quinquennio 1909-1913”. (Si ringrazia la puntuale disponibilità del Prof. Piero Mastroberardino per aver autorizzato la pubblicazione dell’immagine).

Come si evince dall’immagine, nel quinquennio 1909-1913, la provincia di Avellino si collocava al VII posto in Italia con riferimento alla produzione di uva, immediatamente dopo le “provincie del regno” come Alessandria, Lecce, Roma, Bari, Catania e Reggio Emilia. Si evidenzia, quindi, come l’Irpinia rappresentava il primo centro produttivo della Regione Campania, a cui seguivano in ordine di produzione Napoli, Caserta, Benevento e infine Salerno. Un volume produttivo notevole che già in quell’epoca era destinato a mercati differenti da quello nazionale e, a tal proposito, è lo stesso Disciplinare di produzione della DOC Irpinia, che evidenzia come la Francia rappresentava già allora un mercato di destinazione privilegiato. Successivamente, nel 1934, nella relazione “I vini dell’Avellinese”, Amedeo Jannacone, in riferimento alla viticoltura avellinese così si esprimeva: “Appare evidente che l’industria vinicola rappresenta in Irpinia una attività agraria grandissima, cui corrispondono altrettanto considerevoli capitali circolanti che concorrono ogni anno ad arrecare benessere a tante famiglie rurali. La floridezza economica di numerosi paesi della provincia di Avellino è dovuta soprattutto alla produzione e al commercio vinicolo, floridezza che porta innegabili progressi in tutte le branche dell’attività agraria e nella vita stessa delle popolazioni rurali”.

 

Sebbene il racconto di questo territorio possa rivelarsi ancor più avvincente, grazie soprattutto alla documentazione storica consultabile e all’esperienza di realtà imprenditoriali che con lungimiranza sostengono tutt’oggi questa meravigliosa forma di “viticoltura di montagna”, nulla potrà mai sostituire il piacere della scoperta generato dall’opportunità di viaggio in un territorio che tanto ha da raccontare, nei suoi calici ma anche e soprattutto nei suoi luoghi.

Si ringrazia per le immagini: