di Gea Calì
Antonio Currò Head Sommelier de Il Duomo di Ciccio Sultano, 2 Stelle Michelin, si racconta a Gea Calì, dalle origini della sua passione per il vino ad oggi.
“Fu mio nonno ad introdurmi nel mondo del vino, da bambino mi portava in osteria dove era costume fare il cicchetto prima del pranzo. Inizialmente mi prendeva la gazzosa con la pallina (negli anni ottanta la Ciappazzi produceva questa bibita, che al posto del tappo a corona, aveva una gomma da masticare a forma di pallina), con il passare degli anni aggiungeva un po’ di vino alla mia bibita fin quando all’età di quattordici anni bevevo vino e gassosa”. Così Antonio Currò, head sommelier del ristorante “Il Duomo di Ciccio Sultano”, due Stelle Michelin, racconta come si avvicinò a questo affascinante mondo, ricordando dei momenti trascorsi con il nonno, che furono per lui l’inizio di una passione che stimolò sempre più la sua curiosità.
Il viaggio enoico di Antonio Currò inizia tra le morbide colline plasmate da corsi d’acqua e filari di vigneti, la Dordogna, per poi proseguire in Borgogna, terra eclettica, ricca d’arte e storia, che lo affascina e seduce con il suo arcipelago di vigneti e vini d’eccellenza.
Rientrato in terra natia, nella sua Taormina, dirige il ristorante stellato “Casa Grugno” per 10 anni. Successivamente si trasferisce a Torino e per 2 anni ricopre il ruolo di Restaurant Manager presso il ristorante “Del Cambio”.
L’amore per la propria terra e “la chiamata” dello chef Ciccio Sultano, che lo coinvolge in un progetto stimolante e ambizioso, lo portano al ristorante “Il Duomo” di Ragusa Ibla.
Qui Antonio Currò è l’attore protagonista di una delle più prestigiose cantine conservate tra le volte di tufo del settecentesco Palazzo della Rocca, premiata da Wine Spectator con il Best of Awards, e qualche tempo dopo inserita tra le 100 best lists di The World of Fine Wine.
“Amo ricordare il mio primo incontro con Antonio Currò, credo rappresenti uno dei suoi più grandi pregi professionali, abbinare il vino alla persona, abbinare il vino alle emozioni. Era il 28 dicembre del 2017, lo ricordo come se fosse ieri, mi trovavo a cena insieme ad amici al ristorante “Il Duomo”, Antonio aveva preso servizio da pochi mesi. Probabilmente i miei amici fecero una delle solite battute infelici riguardo la mia wine attitude, così scambiammo qualche parola e subito dopo ritornò al tavolo con un calice di vino rosso, una vecchia annata, da degustare alla cieca. Fu una bellissima esperienza, inaspettata, coinvolgente e divertente”.
Per Antonio Currò conoscere le sfumature che caratterizzano le singole annate è di fondamentale importanza per il suo lavoro sul campo, non solo per poter dare un servizio eccellente, ma anche per creare degli abbinamenti unici, ecco perché il bisogno costante di aggiornarsi è il leitmotiv della sua carriera professionale.
Ma conosciamo meglio Antonio Currò
Qual è la prima cantina che hai visitato?
Le clos du Breil a Saint-Léon-d’Issigeac in Dordogne. Dopo aver assaggiato i loro vini, da perfetto neofita, chiesi di poter lavorare nella loro cantina per imparare come si faceva il vino, da lì, rimasi un anno intero a fare il viticoltore ed imparai anche la lingua.
Ci racconti qual è stata l’esperienza “enologica” che ti ha dato più emozioni? Non parlo di degustazioni, ma di esperienze vissute con un vignaiolo durante una vendemmia o un incontro che ti ha lasciato un segno.
Sicuramente l’esperienza più significativa l’ho vissuta in Borgogna. Ricordo che lavoravo come Comis sommelier a Beaune e durante il giorno di riposo, mi capitò di visitare le vigne di Montrachet con monsieur Ramonet, il quale mi spiegò la differenza delle vigne tra Puligny e Chassagne facendomi vedere fisicamente il terroir e come riconoscerli nel bicchiere. Ripensando oggi a quell’esperienza mi sento un privilegiato.
Ci puoi spiegare quanto è importante, secondo te, per un Sommelier vivere esperienze dirette sul campo come le tue?
Ritengo siano fondamentali, io adoro la vigna, chi mi conosce sa che parlo di allevamento della vite e non di coltivazione. Scoprire il terroir è di straordinaria importanza per poi poter comunicare al cliente, seduto al tavolo, chi, cosa e in che modo, dal vignaiolo, ai fattori pedoclimatici, influenzino un vino, quindi la riconducibilità di un vino ad un determinato territorio.
Cosa ti piace di più del tuo lavoro?
Il contatto con il cliente, il sommelier è il termometro della buona riuscita di una cena. Ogni giorno provo a dare il massimo affinché la sua esperienza sia eccellente e non mi risparmio mai. Dopo tutto il duomo di Ciccio Sultano è tra i migliori ristoranti d’Europa ed io voglio esserne all’altezza.
Quale vino sceglieresti per una cena ideale?
Non ho un genere o una tipologia di vino preferita, molto dipende dalla compagnia, dal tipo ristorante, ma soprattutto dal mio umore.
La prima cosa che cerchi assaggiando un vino per la prima volta?
Sono tante le cose che vado a ricercare in un vino, probabilmente la prima è la sensazione di completezza del vino stesso. Non è un concetto semplice da spiegare ma è l’insieme di sensazioni tattili, sensazioni saporifere, mano dell’enologo, terroir ed eleganza.
Se tu potessi fare il vino di un’annata storica quale sceglieresti e in che parte del mondo andresti a farla?
Sono molto legato alla Francia e alla Borgogna, in particolare quindi mi recherei a Montrachet a fare il mio vino e poiché nel 2015 mi trovavo proprio lì a vendemmiare, scelgo questo millesimo che si è rivelato uno dei migliori di questo millennio.
Quale varietà d’uva secondo te è immeritatamente ignorata?
Se dovessi parlare della Sicilia, direi sicuramente il Perricone, una varietà che ha struttura, corpo, colore e anche una bella acidità, e non mi spiego perché questo vitigno venga snobbato a favore di varietà internazionali.
Cosa pensi dei prodotti Biologici e Biodinamici?
Li bevo come bevo tanti altri vini, non sono un integralista, l’importante per me è il vino abbia una personalità e non abbia difetti e rispetti il territorio di provenienza.
Che abbinamento vino-cibo convincerebbe un astemio?
Ho già provato tante volte a far bere un bicchiere di vino ad un astemio e l’abbinamento che più mi ha soddisfatto è stato “anarchica costituzionale “ di Walter Massa, con il cannolino di ricotta di Ciccio Sultano, con caviale e gambero di nassa, un abbinamento che sorprende anche i palati più allenati.
Recenti studi effettuati da aziende di branding, come HelloSociety e Markerly, hanno evidenziato che i micro-influencers generano un coinvolgimento superiore nel consumatore medio rispetto a quello degli influencer iconici quali, ad esempio, Robert Parker o James Suckling. Qual è il tuo pensiero?
Nei miei post sui social network cerco di raccontare la mia esperienza, da professionista del settore, sul vino degustato e nulla più. Considero Parker e Suckling dei professionisti seri e preparati, come lo sono i miei colleghi sommelier all’interno di un ristorante; gli altri chi sono? Se non hai lavorato in un ristorante non puoi definirti professionista.
In cosa sarà diverso da quello di oggi il vino che si berrà fra 50 anni?
Mi auguro che le mode, nel mondo del vino, arrivino e vadano via rapidamente. Tra 50 anni berremo ancora dei grandi vini solo se rispetteremo noi stessi ed il nostro terroir.
Qual è il tuo sogno nel cassetto?
Tanti dei miei sogni si sono realizzati ma non nascondo di averne ancora tanti altri. Il più bello e stimolante è quello di realizzare un wine bar in società con Ciccio Sultano.